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Magni Giappone 52

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Make Model

Magni Giappone 52

Year

1995

Engine

Four stroke, 90°transverse V-twin,  OHC, 2 valves per cylinder

Capacity

1064 cc / 64.9 cu-in
Bore x Stroke 92 x 80 mm
Cooling System Air cooled
Compression Ratio 9.5:1

Engine

Four stroke, 90°transverse V-twin,  OHC, 2 valves per cylinder

Capacity

1064 cc / 64.9 cu-in
Bore x Stroke 92 x 80 mm
Cooling System Air cooled
Compression Ratio 9.5:1

Induction

 

Ignition  /  Starting

Weber Marelli

Max Power

90 hp / 66 kW hp @ 7800 rpm

Max Torque

96 Nm / 9.7 kgf-m @ 6000 rpm

Transmission  /  Drive

5 Speed

Front Suspension

Telescopic fork with adjustable spring preload and hydraulic compression rebound

Rear Suspension

Double rear arms .Parallelogrammo. patented Magni with single absorber with adjustable preload rebound and compression

Front Brakes

2x 320mm disc 4 piston calipers

Rear Brakes

Single 230mm disc 2 piston caliper

Front Tyre

120/70 ZR17

Rear Tyre

180/55 ZR17

Dry Weight

190 Kg / 418.8 lbs

Fuel Capacity

17 Litres / 4.4 US gal
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Il nome che porta evoca una paese lontano, situato dall’altra parte del mondo, ma la moto, potete starne certi, è fatta in Italia, parte nella fabbrica sul Lago di Como e il resto nel piccolo ma suggestivo stabilimento di Samarate (VA).
Il numero, poi, quello alla fine, non indica l’anno di fabbricazione, né tanto meno la cilindrata, come talvolta accade su altri modelli, ma sta a sottolineare una ricorrenza, una combinazione di eventi.

La Giappone 52 nasce con queste premesse, figlia dell’incrocio tra il cinquantesimo anniversario dell’importatore Magni giapponese, Fukuda, e il ventesimo anno dalla fondazione del marchio stesso.
Una moto che definire particolare sarebbe riduttivo, vuoi per il fatto di essere motorizzata con un bicilindrico Guzzi due valvole di 1.100 cc, vuoi per la natura squisitamente artigianale del suo allestimento.
Prima di entrare nel merito delle sue caratteristiche, però, è forse il caso di spendere qualche parola sul nome che porta impresso sul serbatoio.

Bicilindrica si è infatti già occupata del marchio Magni, ma lo ha fatto diverso tempo fa (esattamente sul primo numero) e da allora la quantità degli abbonati è cresciuta di buon grado (fortunatamente), perciò ci sembra doveroso fare un piccolo riassunto delle “puntate precedenti”.

Arturo Magni nasce ad Arcore il 24 settembre del 1925 e, dopo le prime esperienze lavorative in altri settori, comincia la sua carriera tra le due ruote entrando a far parte del reparto corse Gilera (siamo nel 1947). Tre anni più tardi, poi, il giovane tecnico lombardo approda sotto le insegne della MV Agusta, dove rimane fino al ritiro dalle competizioni della fabbrica di Cascina Costa.
Ecco che, nel 1977, Magni decide di mettersi in proprio, dando vita all’omonimo marchio motociclistico, forte dell’esperienza maturata, come responsabile, presso il reparto corse più titolato al mondo.

All’inizio vengono commercializzati kit di modifica per le stesse MV, ma poi, nei primi anni ‘80, Arturo decide di cimentarsi nella realizzazione di moto complete. Dopo qualche tentativo con Honda e Bwm, nel 1984, lui e suo figlio Giovanni decidono di rivolgersi a Moto Guzzi, all’epoca presieduta dall’imprenditore italo-argentino Alejandro De Tomaso, per la fornitura dei motori con i quali equipaggiare un piccolo lotto di moto stradali. La risposta è positiva e, nel giro di un anno e mezzo, nasce la prima Magni con motore Guzzi: la Le Mans.
Le sue forme sono piuttosto spigolose e in Italia viene accolta con relativo interesse, ma in paesi come Germania, America e, soprattutto, Giappone, ha un discreto successo.

A questo modello seguiranno la Classico e la Arturo 1000, mentre, nel 1989, è la volta della Sfida, vero e proprio pezzo forte della Casa di Samarate che, attraverso numerose versioni successive, compare tutt’ora in listino.
Gli anni Novanta si aprono per Magni, all’insegna dei successi in campo agonistico, grazie alla vittoria e ai numerosi piazzamenti in terra australiana di un esemplare spinto dal bicilindrico a 4 valvole della serie Daytona che, proprio in virtù della location dove si svolse la vicenda, prende il nome di Australia.

Si arriva così al 1998, anno in cui viene data alla luce la Giappone 52, realizzata nello stesso numero di esemplari, ognuno dei quali identificato da una targhetta con tanto di numerazione progressiva; la punta di diamante all’interno della produzione stradale Magni.

La Giappone è infatti una moto senza compromessi: leggera, ben 36 Kg meno rispetto a una Le Mans, rigida e piuttosto impegnativa, l’oggetto ideale per chi vuol vivere emozioni forti, senza dar troppa importanza al comfort e a prezzo di un certo sforzo nella guida.

Un mezzo che, nel look come nel comportamento, rispecchia la filosofia di un tempo: pochi fronzoli, estetica compatta e prestazioni generose, ma non esagerate. Una volta montati in sella, infatti, ci si trova inseriti in una posizione razionale, con il busto moderatamente inclinato in avanti e le ginocchia non troppo piegate.
Insomma, quanto basta per avere un’impostazione sportiva, anche se le teste dei cilindri, o meglio le bombature ai lati della carenatura, non lasciano molto spazio ai movimenti.
Premendo il pulsante di avviamento, si sente il bicilindrico di Mandello prendere vita attraverso una buona dose di vibrazioni sotto la sella. In pratica, sembra di essere seduti direttamente sui tubi del telaietto posteriore, tanto è stretto e sottile il rivestimento della sella.

Ad ogni modo, basta qualche sgasata e il V-twin Guzzi è già in temperatura, lì pronto ad obbedire. Cambio e frizione sono sufficientemente morbidi e precisi per modulare a piacimento le partenze e rendere comunque facile la ricerca del folle.
In marcia, la Giappone è davvero piacevole, anche ad andatura ridotta. Lo sterzo leggero e dall’ampia possibilità di rotazione è ben supportato dalla forcella Paioli a steli rovesciati, cui viceversa fa da contraltare una certa rigidità del monoammortizzatore White Power.

In ogni caso, la ciclistica risulta ben bilanciata e non richiede contromisure particolari per essere gestita, come testimonia l’assenza dell’ammortizzatore di sterzo, caratteristica per la quale Magni va particolarmente orgoglioso.
Il merito, spiega, è del forcellone a Parallelogrammo (sistema brevettato) che consente la perfetta coassialità tra motore e telaio, pur impiegando un pneumatico posteriore da 180/55-17”. In questo modo, appunto, la moto gode di una distribuzione dei pesi ottimale (e si sente), oltre a poter contare su una solida impronta a terra, come si conviene alle prestazioni del suo motore. Il bicilindrico Guzzi viene infatti impiegato nella stessa forma con il quale equipaggia la normale produzione di serie, ovvero 90 Cv a 7.800 giri di potenza massima e 9,8 Kgm di coppia a 6.000 giri, valori ritenuti più che sufficienti per l’allestimento di una sportiva come si deve.

La gradevole tonalità degli scarichi Lafranconi, poi, fa da sottofondo a una componente meccanica di primo piano, fatta di accelerazioni corpose, gran tiro e un “ruvido” freno motore. A proposito di freni, quelli anteriori svolgono davvero bene il loro compito: potenti e modulabili, con un’ottima risposta sulla leva e un rassicurante trasferimento di carico da parte delle sospensioni.

Purtroppo, al momento di fare sul serio, ovvero quando le gomme cominciavano ad essere ben calde, ha cominciato a cadere un leggera pioggia che ci ha impedito di approfondire la conoscenza con la Giappone.
In linea di massima, comunque, l’impressione è quella di una moto incisiva, fatta per essere condotta senza sbavature, facendo leva sulla gran coppia del motore e sulla velocità di percorrenza in curva.

Bella: la Magni evoca momenti di nostalgia, ma anche attimi di esaltazione “contemporanea”, quando si decide di trattarla come una vera moto sportiva. I cromosomi, insomma, sono quelli giusti, figli di quasi trent’anni di esperienza e di una base meccanica sinonimo di tradizione. Certo, il prezzo non troppo abbordabile (siamo pur sempre sopra i 15.000 Euro) e il livello di sviluppo non proprio aggiornatissimo, collocano la Giappone 52 in un mercato di super-nicchia, oggetto di culto per veri intenditori, il più delle volte muniti di passaporto straniero.

Sarà, ma nonostante questo, dopo averla provata e, soprattutto, dopo aver speso un piacevolissimo pomeriggio in compagnia di Arturo e Giovanni, cominciamo a invidiarli proprio questi pochi, facoltosi e fortunati signori che entreranno in possesso di un esemplare col nome Magni scritto sul serbatoio e quello Moto Guzzi inciso sui carter motore...

Source motoitaliane.it